

Cesare Lombroso e Carl Gustav Jung.
Entrambi sono stati autori di ricerche ambigue e ancora discusse: l’atavismo di Cesare Lombroso, che stabilisce una relazione diretta tra la fisionomia di un individuo e la sua propensione al crimine; l’inconscio collettivo di Carl Jung, che ha spinto la psicanalisi ai limiti della psicomagia.
Entrambi sono stati capaci di intuizioni che hanno lasciato il segno nella storia. A pochi anni di distanza, mentre Cesare Lombroso spostava l’attenzione dal crimine al criminale, diventando il padre fondatore della criminologia, Carl Jung ipotizzava l’esistenza di modelli di personalità universali e innati: gli archetipi.
Lombroso e Jung si incontrano idealmente nella teoria degli archetipi criminali di Marco Lombroso.
Nel suo Atlante dei criminali, l’immaginario discendente di Cesare Lombroso raccoglie articoli di giornale, stralci di interviste, brani letterari che raccontano secoli di omicidi: da Erzbeth Bathory, la “Contessa Sanguinaria” che nel ‘500 uccise centinaia di giovani vergini per garantirsi la giovinezza eterna, a Ed Gain, il serial killer che realizzò un abito con la pelle delle donne assassinate; dalle Bestie di Satana, la setta che a cavallo del nuovo millennio terrorizzò la provincia di Varese con una serie di omicidi a sfondo satanista, al mostro di Udine, l’assassino mai individuato che ha ucciso almeno quattro donne, firmando i delitti con uno sfregio a forma di S sulla pancia delle vittime. Nelle “storie nere” Marco cerca i pattern, gli schemi ricorrenti che distinguono gli archetipi criminali.
Gli assassini non sono tutti uguali: agiscono in base a spinte diverse, attraverso strumenti diversi, contro persone diverse.
Movente, modus operandi e tipologia di vittima segnano ogni crimine come marchi: a Marco Lombroso spetta il compito di riconoscerli e seguirli per risalire al colpevole.